Once Upon A Time dovrebbe finire?

La sua sesta stagione è iniziata da poco (domenica notte è andato in onda il quarto episodio), ma Once Upon A Time non ha del tutto convinto il pubblico come la produzione sperava. Ideata da Edward Kitsis e Adam Horovitz, è una serie tv di stampo famigliare, che ha per protagonista Emma Swan, una giovane che scopre di essere collegata a Storybrooke, magica cittadina in cui vivono gli abitanti delle fiabe.

La Evil Queen è tornata!
La Evil Queen è tornata!

Nonostante sia una delle poche serie che resiste abbastanza bene al drastico crollo di ascolti che ha investito quasi tutti i prodotti del piccolo schermo, Once Upon a Time, giunta a un traguardo così importante, risente di un’ovvia stanchezza, soprattutto visto la noia totale che la quinta stagione ha trasmesso al pubblico: episodi incentrati in modo quasi totale su Emma Swan e il suo bel fidanzato Hook, tanto che molti hanno parlato di una mossa strategica della produzione, per soddisfare i fan della coppia probabilmente più amata del telefilm.

Questi nuovi episodi hanno in realtà portato un ritorno al passato, come già avevano annunciato i due creatori: ovvero la ripresa di personaggi che non si vedevano da tempo, come Archie/Grillo parlante o Ashley/Cenerentola. Più avanti, inoltre, vedremo come la serie si svilupperà in unico arco narrativo, e non più in due metà abbastanzata distinte come è avvenuto fin dalla seconda stagione. Devo ammettere che soprattutto la terza puntata è stata molto avvincente e ben costruita, un vero ritorno alle origini che però so già non potrà essere mantenuto, in quanto il personaggio di Ashley sparirà di nuovo: ed è così anche per molti altri, forse il difetto principale di questa serie.

Cenerentola, la matrigna e le sorellastre in una scena della 6x03
Cenerentola, la matrigna e le sorellastre in una scena della 6×03

Emma è di nuovo in pericolo, Tremotino e Belle (la mia coppia preferita) sono di nuovo separati, Regina ha di nuovo problemi con la sua personalità e non riesce a trovare il proprio lieto fine. Purtroppo, anche se questa serie mi piace davvero molto, e trovo che alcuni personaggi, anche grazie a chi li interpreta, siano davvero eccellenti, penso che questa sia la solita minestra che viene riproposta al pubblico per l’ennesima volta. E’ un circolo che non si ferma mai, un ripresentarsi continuo dei soliti, vecchi problemi irrisolti: spiace, soprattutto perché abbiamo avuto modo di conoscere e immaginare i personaggi delle fiabe e dei classici della letteratura in modo diverso. Questa serie è stata un delizioso esercizio di fantasia, ma io credo che sia giunto il momento di mettere la parola fine al libro di fiabe: dovrebbe arrivare un lieto fine per tutti, e un nuovo prodotto in cui investire le loro energie per Kitsis e Horowitz.

Bruegel arriva a Torino: i pittori fiamminghi in mostra

Non sono una grande amante dell’arte: come tante persone, mi limito a osservare le opere nei musei, prendendo nota mentalmente di quali quadri o sculture mi piacciono di più, capendo così quale stile o corrente apprezzo maggiormente. Cambia tutto, però, quando si parla di pittura fiamminga: poco studiata nelle scuole (anzi, praticamente ignorata), negli anni ho davvero imparato ad amarla. Ogni dipinto racconta una piccola storia, è pieno di dettagli e di simboli, e molte volte sono rappresentati elementi fantastici o propri della cultura popolare.

Jan Mandijn, Gesù nel Limbo
Jan Mandijn, Gesù nel Limbo

La mostra di Venaria Reale, perciò, era decisamente adatta a me: in Bruegel: capolavori dell’arte fiamminga è esposto un discreto numero di opere, perlopiù provenienti da collezioni private, che permettono di avere una panoramica completa sulle diverse caratteristiche della pittura fiamminga. Ovviamente al centro c’è la prolifica famiglia Bruegel, capeggiata da Pieter il Vecchio; non mancano però anche opere di Hyeronimus Bosch, il mio preferito in assoluto, di cui amo la minuzia e le raffigurazioni fantastiche.

Quello che apprezzo di più in questi quadri è proprio la cura per il dettaglio, la voglia di rappresentare la cultura popolare in ogni suo aspetto, anche quelli più imbarazzanti o di cui comunque si parla poco: è solo in questo periodo, ad esempio, che la rappresentazione del cibo o di persone che mangiano non è più considerata un tabù, e si apre così la via a numerose opere in cui si raffigurano banchetti e festeggiamenti, specie nuziali.

Pieter Bruegel il Giovane, Danza nuziale all'aperto
Pieter Bruegel il Giovane, Danza nuziale all’aperto

Altro aspetto curioso è la predilezione per i simboli e le allegorie: tantissimi dipinti sono proprio intitolati Allegoria e si riferiscono perlopiù ad elementi religiosi oppure astratti, come ad esempio i vizi capitali o i cinque sensi. Tra tutti quelli esposti, quello che ha attirato di più la mia attenzione è stato il quadro dedicato alla guerra: tra armi e armature, le bestie azzannano il capretto e l’agnello, il falco si avventa sulla colomba portatrice di pace, e sullo sfondo si consuma anche uno stupro. Il clima è cupo, grigio: secondo me è una rappresentazione molto efficace delle caratteristiche della guerra. Già nel Sedicesimo secolo popolazione e artisti se ne rendevano (tristemente) conto.

Jan Bruegel, Allegoria della guerra
Jan Bruegel, Allegoria della guerra

Bob Dylan e il Nobel per la Letteratura: no, grazie

Premessa: non ce l’ho con Bob, cantautore di fama mondiale, autore di successi pieni di significato e apprezzato da individui di diverse generazioni. La mia irritazione confluisce piuttosto verso l’Accademia di Svezia, che ha assegnato a Dylan un premio prestigioso, probabilmente il re dei premi, quello per cui qualcuno non osa neanche sognare. Oggi, 13 ottobre 2016, il premio Nobel per la Letteratura è andato ad un cantautore, e io non ci sto.

Bob Dylan e il Nobel per la Letteratura: no, grazie

Senza nulla togliere alla sua carriera, già costellata di successi, trovo che l’Accademia quest’anno abbia commesso un grave scivolone, nobilitando chi non aveva affatto bisogno di ulteriori gratificazioni, a discapito, invece, di nomi meno conosciuti ma non per questo autori di opere con minor valore o minore importanza nella cultura a cui appartengono. Negli ultimi cinque anni sono stati assegnati premi diversissimi tra loro, che hanno giustamente portato all’attenzione mondiale autori sconosciuti ai più, eppure portatori di rara bellezza: penso a Mario Vargas Llosa, di cui ho scoperto quello che è diventato uno dei miei libri preferiti, Il narratore ambulante. Oppure il poeta svedese Tomas Transtromer, ancora meno conosciuto, autore di componimenti semplici ma evocativi. Ecco, penso che l’Accademia dovrebbe privilegiare queste realtà, anziché aggiungere successi a chi, seppur con merito, gode già di notevole fama.

Un’altra importante questione è se i testi di canzoni possano essere ritenuti letteratura, e dunque degni di essere presi in considerazione. Per quanto mi riguarda, testi di canzoni e poesie sono due elementi ben diversi tra loro, in quanto i primi non possono esistere senza la musica, elemento portante della canzone. Musica e letteratura, benché siano discipline affini, e molte volte condividano i propri percorsi, sono però diverse tra loro. Trovo che sia a dir poco imbarazzante paragonare il testo di una canzone ad un romanzo, o ad una poesia, o ad un testo teatrale. E’ questo che ha fatto l’Accademia, ha messo sullo stesso piano musica e letteratura: ha messo sullo stesso piano Bob Dylan e Eugenio Montale, Dylan e Boris Pasternak, Dylan e Harold Pinter. tutti vincitori, dunque tutti degni di fare parte dello stesso prestigioso mondo.

Amo la musica. Ma penso sia meglio lasciarla dov’è, senza mescolarla alla letteratura, che è ben diversa. A mio parere la scelta di quest’anno è stata puramente serva della moda, e me ne rammarico in quanto, come ho già scritto, negli scorsi anni l’Accademia ha permesso al grande pubblico di scoprire nuovi talenti. Questa operazione mi sembra un semplice cavalcare le logiche del mercato, che come permette a ragazzetti ignoranti di pubblicare, permette a un cantautore di sentirsi una figura che non è.

Tra le pagine del Quindicesimo secolo: la mia recensione di Il ragazzo di Bruges

Bruges, 1441: è qui che comincia la nostra storia. Protagonista è Jan, il figlio adottivo di Jan Van Eyck, apprezzatissimo pittore delle Fiandre. Tra un quadro e l’altro, i due vengono a conoscenza di una serie di omicidi che sta lasciando una scia di sangue in tutta Europa, tra Firenze e Anversa. Pagina dopo pagina, il mistero di infittisce, anche a causa della comparsa di Idelsbad, gigante dall’aria ambigua, e soprattutto dalla morte del pittore. Riusciamo anche a seguire qualche vicenda nella città toscana, entrando nelle stanze di Cosimo de’ Medici.

Tra le pagine del Quindicesimo secolo: la mia recensione di Il ragazzo di Bruges

Il ragazzo di Bruges è questo, un romanzo storico di Gilbert Sinoué: è stato pubblicato nel 1999, ma l’ho letto solo quest’anno perché, spinta da un nuovo interesse verso Bruges, cercavo qualcosa che me la raccontasse, che mi facesse immergere nell’atmosfera romantica e medioevale della cittadina belga. E’ un libretto di poche pretese, con numerosi personaggi inventati, che tuttavia cerca di attenersi alla realtà storica. Una lettura semplice che, però, mi ha un po’ delusa.

Il mistero che caratterizza la vicenda è ben pensato, e anche sensato, ma lo trovo lontanissimo dall’immaginario del lettore. Senza svelare troppo, sarebbe molto meglio se il mandante dei diversi omicidi fosse qualcuno che conosce Van Eyck di persona e che ha motivi concreti per essere in disaccordo con lui, non un’entità che nel libro è nominata ben poco e che chi legge non ha nemmeno il tempo di prendere in considerazione. Altra pecca a mio parere sono i dialoghi troppo prolissi, con battute piene di informazioni, quasi come se il personaggio parlante stesse leggendo un trattato e non parlando tranquillamente con il proprio interlocutore: in questo caso c’è un vero scivolone per quanto riguarda il realismo.

Non penso di avere un’opinione ben definita di questo libro: mi sembra che manchi di qualcosa, nonostante sia coinvolgente e le ambientazioni, motivo che mi ha spinto a comprarlo, siano rese molto bene e mi abbiano dato uno sguardo attento su Bruges, facendomi quindi venire ancora più voglia di visitarla. Non mi sento però di consigliarlo completamente: come romanzo storico mi sembra un po’ povero, e come giallo un po’ debole. Deve esserci un motivo per cui questo autore in Italia è pressoché sconosciuto!

E’ tempo di rischiare: la mia recensione di No Tomorrow

Pensavo che fosse la solita serie comica, con tanto di risate di sottofondo, una di quelle che vuole farti ridere ad ogni costo e che, sinceramente, non riesco proprio a sopportare perché a me non fanno ridere. Invece No Tomorrow mi ha davvero sorpresa in positivo, e probabilmente tra tutte le nuove serie tv che ho iniziato questo autunno questa ha il pilot che mi è piaciuto di più e che mi ha fatto decidere di continuarla.

E' tempo di rischiare: la mia recensione di No Tomorrow

Ambientata a Seattle, la protagonista è Evie, una giovane trentenne assolutamente normale, una di quelle che potremmo incontrare ovunque. Lavora come manager in un’azienda simile ad Amazon, il suo impiego potrebbe soddisfarla di più ma è comunque contenta. Ciò che davvero desidera, nonostante non voglia ammetterlo con nessuno, è trovare l’amore. Il suo ex fidanzato le chiederà di sposarla ma lei, ovviamente, rifiuterà (anche perché l’uomo, anche se abbastanza carino, sembra un pazzo totale, molto più del coprotagonista). E poi c’è Xavier, il protagonista maschile: capelli chiari, barba lunga, sorriso adorabile, occhi stupendi: praticamente il ritratto del mio uomo ideale. E anche di quello di Evie: i due si incontrano per caso al mercato, e entrambi vogliono fare di tutto per ritrovarsi. Sarà il caso ad aiutarli, e far scoprire alla donna che il suo bel vicino è convintissimo che il mondo stia per finire, e ha perciò iniziato una bucket list, ossia un quadernino con una lista di cose da fare prima di morire.

Ecco, questo lascia davvero spiazzata la protagonista, così come me: perché se non fosse per questa piccola, bizzarra credenza, un po’ come quella che ha chi non crede che l’uomo sia stato sulla Luna, Xavier sarebbe davvero perfetto. E’ bello, intelligente, simpatico: è proprio per questa innegabile attrazione tra i due che Evie decide di buttarsi e seguirlo nel completamento della sua lista. Addirittura lei stessa inizierà una propria lista, avvicinandosi ancora di più all’uomo.

E' tempo di rischiare: la mia recensione di No Tomorrow

Questa serie è brillante, coinvolgente, romantica e con la giusta dose di umorismo. Nonostante io non condivida affatto l’idea di vivere alla giornata, perché penso sia meglio avere un progetto per il futuro (e più o meno anche Evie la pensa così), apprezzo il pensiero di Xavier. Penso che ormai la paura di rischiare imprigioni la mente e il cuore di tanti, che hanno rinchiuso i propri sogni e le proprie piccole follie in una scatola dimenticata; senza dimenticare i propri doveri, che vita sarebbe quella in cui non c’è spazio per fare quello che si desidera? Buttiamoci, affrontiamo i salti nel buio, sconfiggiamo le nostre paure. Se non siamo fedeli al nostro cuore finiremo per perderci.