C’era una volta Michele Mari

Non penso che ci possa essere un solo scrittore capace di parlare di gabinetti, argomenti triviali e cacca: Michele Mari non solo ne è perfettamente in grado, ma presenta la questione al lettore come se fosse un’opera d’arte, un’analisi linguistica del termine che rende questo argomento di bassissimo livello un esercizio di stile perfettamente riuscito e non banale. Il sogno del fecaloma, insieme ad altri racconti, compone la raccolta Fantasmagonia, un libro che ho aspettato tanto e che ho ricevuto con grande piacere.

Il volume è uscito nel 2012, ma io sono riuscita ad accaparrarmelo (e leggerlo) solo recentemente: per me si tratta del primo approccio con Mari, che è anche professore di letteratura italiana nella mia università, a Milano. Si dice sia un tipo scontroso ma brillante, che tiene lezioni di un certo livello: impossibile non riconoscere queste caratteristiche anche nella sua scrittura. La prosa è perfetta: quello che ho apprezzato maggiormente è stato senza dubbio il lessico, sempre preciso, e soprattutto la capacità di scrivere in un italiano simil-volgare, calandosi nei panni di Cecco Angiolieri.

Altra caratteristica che ho amato è la sua fantasia nel svelare al lettore ipotetici retroscena della vita di personaggi storici famosi, come Emilio Salgari o i fratelli Grimm. Da un professore di letteratura, esperto dantista, magari non ci si aspetta una simile creatività, invece Michele Mari riesce ad abbattere ogni pregiudizio e a farci apprezzare nuovamente la magia dimenticata del racconto breve, dalle tinte fantastiche e anche orrorifiche.

Questo ritorno alla tradizione mi ha fatto venire voglia di rileggere alcuni volumi presenti nella libreria di famiglia: si tratta delle più famose raccolte di racconti, da Perrault a Andersen, dalle leggende irlandesi alle fiabe dei fratelli Grimm. Un rapido confronto basta per notare la somiglianza tra il lavoro contemporaneo di Mari e la tradizione fantastica europea, segno che dietro l’apparente semplicità del genere fiabesco si cela un’approfondita ricerca nella prosa più antica e nelle tradizioni dei popoli europei. Chi lo ha detto che le fiabe sono cosa per bambini?

Fino All’Osso: ne avevamo davvero bisogno?

Non appena ho sentito parlare di questo film, vedendo le prime immagini promozionali, ho capito che avrei voluto vederlo. Mi sembrava una vicenda interessante, ovviamente drammatica, ma con qualcosa da insegnare. Dopo avere finalmente visto Fino All’Osso, però, non sono rimasta totalmente convinta.

Il film, disponibile su Netflix, racconta la storia di Ellen, una giovane che soffre di anoressia sin dall’adolescenza, interpretata da Lily Collins: la seguiamo nel suo continuo entrare e uscire da istituti di cura, senza che la sua vita e la sua mentalità cambino realmente, senza una reale guarigione o aumento di peso costante. La protagonista vive a Los Angeles con la nuova compagna del padre e la loro figlia: il padre è solo menzionato, per tutta la durata della pellicola non si vedrà mai. La madre di Ellen, invece, vive in Arizona con la sua migliore amica, con la quale ha tradito il marito anni prima e gestisce un alloggio country in mezzo al deserto. Grazie all’insistenza della matrigna, riesce a entrare in terapia con il dottor Beckham (Keanu Reeves), che le impone il ricovero in una casa, insieme ad altri pazienti affetti da disturbi alimentari. Tra una conoscenza e l’altra Ellen, anche grazie alle regole della casa, decisamente non convenzionali, prende coscienza di se stessa ed è libera di vivere le sue scelte, fino a trovarsi veramente di fronte al bivio tra vita e morte.

Non sono riuscita a dare un giudizio trasparente a questo film: mi incuriosiva per il suo realismo, ma il finale aperto mi ha delusa. Questa vicenda non ha un inizio e una fine, ci troviamo semplicemente davanti a uno spaccato della vita di Ellen, senza conoscere totalmente la sua storia, se non qualche trascorso familiare, senza capire davvero che cosa l’ha portata a farsi del male in questo modo. Diverse volte chi le sta intorno accenna al fatto che alcuni suoi disegni postati in rete siano stati quasi un’ispirazione negativa per altri ragazzi, fino a condurre al suicidio una giovane ammiratrice della protagonista. Tanti piccoli elementi che avrebbero potuto arricchire il film non sono stati minimamente approfonditi, così come le personalità di tutti i pazienti della casa. Il mio personaggio preferito, anche se ahimé solo tratteggiato, è la sorellastra di Ellen, una delle poche persone che da subito esterna le sue preoccupazioni e cerca di parlare senza rancore, aprendo veramente il cuore alla sorella per mostrarle quanto davvero tenga a lei; anche la matrigna, seppur maldestra, dimostra di tenere davvero alla ragazza.

Il film sottolinea la necessità dei pazienti di sentirsi vivi per poter comprendere cosa stanno lasciando andare, quali aspetti della vita si stanno perdendo, e lo fa con la classica scena emozionante di qualunque pellicola statunitense, condita da una buona colonna sonora e ambientazioni raffinate. Un messaggio giusto, senza dubbio: nonostante questo penso che però come film avrebbe potuto trasmettere di più, mettere in ordine i fatti in modo da poter rintracciare un filo rosso in quanto accaduto alla protagonista. Mi ha un po’ delusa, lo ammetto, mi aspettavo qualcosa di più. Invece mi è sembrato solo un altro film qualunque, un lavoro fatto giusto purché se ne parli, senza entrare veramente nelle dinamiche di questa patologia: dopo aver sezionato le motivazioni per cui una ragazza si toglie la vita (con 13 Reasons Why), questo film, benché probabilmente dotato delle migliori intenzioni, non mi è sembrato degno di nota, ma anzi solo un racconto senza senso, senza uno scopo.

Vola via con me: tutti i luoghi che vorrei visitare

Sapete cos’è una bucket list? Si tratta di una lista di obiettivi da raggiungere, che può avere qualunque tema: esperienze di vita, libri da leggere, film da vedere oppure luoghi per cui vale la pena fare la valigia. Oggi vi parlo di alcuni dei viaggi sulla mia bucket list, di mete che vorrei tanto visitare e per cui, prima o poi, spero davvero di poter partire. Naturalmente la lista non include solo questi itinerari, ma quelli di cui vi parlo oggi sono proprio quelli per cui partirei subito!

Pacific North West

Credits www.travel.aarp.org

Questa lussureggiante regione degli Stati Uniti è entrata da poco nella mia lista dei desideri, senza un particolare motivo. Io conosco solo una persona che è stata da queste parti, e probabilmente è per questo che sono tanto curiosa di visitarla: anche online infatti si trovano poche guide o diari di viaggio. Il mio viaggio ideale sarebbe un on the road, partendo da Seattle per poi spingersi lungo la penisola di Olympia e scendere lungo la costa, fino a Portland, la principale città dell’Oregon. Mi piacerebbe anche fare il percorso inverso e sconfinare a Vancouver!

Bruges

Credits www.bruges.it

Una delle mete europee che mi attirano di più (e anche una delle più care): questa piccola ma romantica città è famosa per i suoi canali, il suo cioccolato e la sua atmosfera artistica. Mi piacerebbe tantissimo visitarla d’inverno, magari abbinando al viaggio anche una puntatina a Gand e Bruxelles. Lonely Planet ha recentemente pubblicato la guida pocket dedicata a questo itinerario: un’ottima scusa per sperimentarlo!

Scozia del nord

Credits www.isleofskye,com

Lo so, da me non ci si aspetta una meta simile: avete presente quei paesi minuscoli, in mezzo a una brughiera frustata dal vento, dove ci siete voi, un pub pieno di gente e quattro pony? Ecco, io un tour del genere lo farei. Su e giù tra Aberdeen, Inverness e Wick, tra una birra e un ombrello perennemente aperto (il tour dell’Irlanda di nove anni fa mi ha insegnato qualcosa), spingendosi fin sui promontori e a Skye, nelle Ebridi. Vi ho già detto che le tradizioni celtiche mi affascinano moltissimo, vero?

San Pietroburgo

Credits www.paolonori.it

Una di quelle mete perfetta per chi, come me, non sopporta il caldo: proprio come Helsinki o Tallinn, San Pietroburgo si adatta bene ad una visita estiva, in quanto le temperature medie si aggirano intorno ai 20 gradi. Ho visitato tre diverse città sul Baltico e mi sono piaciute tutte, ma San Pietroburgo mi sembra la più romantica di tutte (sì, ho visto troppe volte Anastasia) e anche la più magica, con tutti quegli strani aneddoti sui Romanoff.

New England

Credits www.capecod.com

Penso che questa sia la meta autunnale perfetta: tra pumpkin pie e tacchini del ringraziamento, la costa nord atlantica degli Stati Uniti si anima con i meravigliosi colori del foliage, quel fenomeno tanto apprezzato dagli instagramers che vede gli alberi riempirsi di foglie gialle, rosse e arancioni, appena prima che cadano. Non c’è una città precisa su cui punterei, se non Cape Cod (per me il paragone con Capeside e Dawson’s Creek è scontato!), sulla penisola proprio di fronte all’isola di Martha’s Vineyard: qui il tramonto è davvero spettacolare.

Quando hai fame a Milano: speciale Pescaria

Lo confesso: a Polignano a Mare non ci sono stata. A dire la verità, non sono mai stata neanche in Puglia e il punto più meridionale che ho visitato lungo la costa adriatica è Senigallia (ma questa è un’altra storia). Poi lo scorso anno Pescaria è sbarcato a Milano, e quindi un pochino mi sono rifatta. Se qualcuno comunque vuole portarmi in visita è il benvenuto!

Pescaria è nato a Polignano a Mare come street food, ed è diventato famosissimo per i suoi panini di pesce, in particolare quello ripieno di polpo. Poi, complice la moda, nel 2016 è sbarcato anche a Milano, in una delle zone più in voga degli ultimi tempi: tra Moscova e Porta Garibaldi la pausa pranzo di mare è servita! Io ci sono stata con un’amica e abbiamo assaggiato due piatti diversi, ma il menù è abbastanza ampio e tutto sembra molto invitante.

Salmone crudo, servito con crostini e insalata per lei, e uno dei meravigliosi panini per me: ovviamente come mio solito ho scelto inconsapevolmente il più costoso. Gamberoni al ghiaccio, pancetta croccante, mozzarella di bufala, melanzane fritte, chips croccanti, salsa al pomodoro e basilico e maionese affumicata. Avremmo voluto provare anche il cestino con le patate fritte, ma purtroppo la nostra pausa pranzo da business woman non era infinita. Il menù offre proposte per tutti i gusti, dai panini (oltre ai classici c’è anche la proposta del giorno), pesce crudo (frutti di mare compresi), insalate e fritti. Al bancone sono poi disponibili stuzzichini mignon davvero invitanti! I prezzi non sono esagerati, tenendo conto che si tratta di pesce, fresco e buono: 12.50 per il mio panino (gli altri costano circa una decina di euro) e 10 euro per il salmone. Ovviamente al momento di ordinare potrete scegliere il vino in una carta abbastanza variegata.

Note negative? Purtroppo ce ne sono: il locale è ahimé troppo piccolo, e all’ora di pranzo è preso d’assalto. Non oso immaginare quanta gente in più ci fosse quando ha aperto i battenti lo scorso anno! Fuori non c’è nemmeno spazio per sedersi, e i tavolini interni sono piccoli e molto affollati. Non ho apprezzato per nulla la scelta di tenere un tavolo intero (sei posti) riservato allo staff, proprio durante l’ora di pranzo. Era lì, vuoto, in mezzo al caos, con un bel bigliettino sopra! Altro punto non proprio felice è l’attesa: spesso le ordinazioni non arrivano in contemporanea, ed essendo tutto preparato al momento ci vuole un po’ di pazienza. Però, nonostante questi piccoli punti (probabilmente migliorabili), ci tornerei subito, magari con più calma e in un’ora meno affollata, per poter assaggiare anche il famosissimo panino con il polpo e una delle fritture!

La fine di Reign: addio per sempre, Mary Stuart

Basta conoscere un minimo di storia per sapere come sarebbe finito Reign: la testa di Maria Stuarda sarebbe saltata via, mentre il suo unico figlio Giacomo VI avrebbe unificato Scozia e Inghilterra, alla faccia di Elisabetta I. Quando hanno annunciato che la quarta stagione della serie tv sarebbe stata l’ultima, sapevo cosa aspettarmi. Però è stato ugualmente doloroso, specie per una romanticona come me.

Nella seconda stagione Mary e Francis sono incoronati reali di Francia

La prima stagione del telefilm vede Maria fare ritorno alla corte di Francia, come promessa sposa di Francesco, erede al trono e figlio dell’affascinante re Enrico e della manipolatrice Caterina de’ Medici: insieme a lei le sue amiche d’infanzia, le sue dame scozzesi. Alla corte c’è anche Nostradamus, a servizio della regina, e diversi pericoli per Maria, che si troverà a dover decidere tra Francesco e Sebastian, il suo fratello bastardo che è ovviamente cascato ai piedi della bella scozzese.

Ho iniziato a seguire la serie solo quando la seconda stagione si era già conclusa, ma da tempo mi attirava questa storia: trovavo in rete foto degli episodi con meravigliosi costumi, personaggi interessanti e ambientazioni fiabesche. La serie non ha pretese storiche, anche perché è un prodotto statunitense, e sappiamo bene come gli americani tendano a fare del medioevo un unico pasticcio, mescolando stili ed epoche diverse: devo dire però che, a parte alcuni scivoloni scenografici, la serie ha mantenuto il corso della storia, evidenziando soprattutto le problematiche religiose che sono state uno dei problemi principali della povera Maria. Un tratto che mi ha davvero fatto amare Reign è stata la colonna sonora: è ovviamente contemporanea (per fare un unico esempio, Pompeii dei Bastille è stata usata in una scena di allenamento di scherma), ma l’ho trovata perfetta, adatta a ricreare un’atmosfera misteriosa e drammatica. Per condire il tutto, gli sceneggiatori hanno inserito diversi elementi magici, fino a rendere uno dei protagonisti un druido visionario. I personaggi hanno una caratterizzazione assolutamente moderna, e piano piano sono riuscita ad apprezzarli tutti, anche Elisabetta, che si presentava come l’antagonista della terza stagione e invece condivide con Maria molti aspetti del carattere.

Le tragedie ovviamente sono all’ordine del giorno, con gente che casca dalle finestre mentre se la spassa con il re, ferite in battaglia, personaggi che prima ti fanno amare e poi scompaiono dalla serie. Ma la catastrofe peggiore, per me, è stata la fine della storia d’amore che legava tutto lo show: con il tracollo della seconda stagione, quando Maria ha intrecciato un legame con Luigi di Condé, e con la morte di Francesco all’inizio della terza stagione, la serie ha avuto un calo d’ascolti spaventoso, che ha ovviamente influito sulla scelta di cancellarla in fretta e furia e di imbastire un finale frettoloso come quello che abbiamo visto, in cui i vent’anni di prigionia di Maria sono riassunti con la sua decapitazione. Almeno Reign ha avuto un degno finale chiuso, e siamo stati consolati con una meravigliosa scena finale di Maria e Francesco riuniti dopo la morte, che mi ha fatto versare tutte le lacrime che non piangevo da quando è morto Derek Sheperd. Se vi incuriosisce un prodotto storico, ma comunque pop, questa serie potrebbe essere quella giusta per voi. Anche se conoscete il finale, anche se sapete come finirà la storia. La mia stagione preferita? La prima, anche se lord Narcisse rende le successive molto più interessanti!