Gli Ultimi Jedi e il declino di Star Wars

Ho fatto passare più di 48 ore, per far depositare bene il film appena visto, per riflettere su tutto l’intreccio e la fotografia e gli effetti speciali e la colonna sonora. Ma purtroppo per Rian Johnson e George Lucas, per me Gli Ultimi Jedi è un no. Speravo in qualcosa meglio dopo l’amaro in bocca di Il Risveglio della Forza, ma questa nuova trilogia targata Star Wars si sta muovendo sempre più nel senso di una fumosa delusione.

La pellicola riparte esattamente dove si è fermato l’episodio VII: Rey ha rintracciato Luke su un’isola sperduta, e dopo una lunga insistenza riesce a sollecitare una sua reazione alla ribellione e a farsi impartire una minima istruzione dei princìpi Jedi. Intanto i ribelli sono messi alle strette dal Primo Ordine, e mentre Poe Dameron si impegna per creare un diversivo, Finn e l’operaia Rose cercano un maestro di codici per disattivare il tracciatore che permette alla flotta nemica di individuare la ribellione anche nell’iperspazio. La battaglia si sposta poi su un vicino pianeta di sale, da cui i ribelli riescono a fuggire solo grazie al tempestivo intervento dell’ologramma di Luke Skywalker. Rey, nel frattempo, ha scoperto di avere un legame telepatico con Kylo Ren, che entrambi sfruttano per cercare di convertire l’altro.

Primo difetto di Gli Ultimi Jedi: non sono neanche riuscita a riassumere in modo chiaro la trama. Per me questo è già sintomo che la storia si stia trasformando in un poutpourri di elementi accostati l’uno all’altro, che a un tratto sono mescolati insieme, sì con un minimo di logica, ma comunque in modo abbastanza macchinoso e difficile da seguire. In questo ottavo episodio della saga si introducono personaggi minori che sono anche ben costruiti, ma di cui non si comprende l’utilità: Rose, ad esempio, la giovane operaia che accompagna Finn in missione. Ancora non mi è chiaro se la rivedremo, quale sia il suo rapporto con gli altri personaggi, se riuscirà a ritagliarsi uno spazio adeguato. Altro punto per me negativo, da profana del cinema quale sono, è la sezione effetti speciali: tutto troppo costruito, e la scena peggiore è senza dubbio quella in cui Leia riprende conoscenza nello spazio e usa la Forza per tornare a bordo dell’astronave.

Insomma, se Rogue One mi aveva conquistata nel profondo, Gli Ultimi Jedi è stato abbastanza deludente. Ancora una volta mi è sembrato l’esercizio di stile mal riuscito di un vecchio fan della saga, che ha avuto l’opportunità di giocare con un prodotto eccellente, non dimostrandosi però all’altezza della trilogia originale. Chiari segni di questo sono, per me, gli ennesimi richiami proprio agli episodi IV e V: l’apice si tocca con l’incontro tra Luke e R2-D2, che gli ripropone il messaggio d’aiuto per Obi-Wan Kenobi registrato da Leia più di trent’anni prima. Qual è lo scopo? Sottolineare il legame tra i film? Veramente impossibile notarlo, dato che si tratta di una saga. Ovviamente sarò al cinema anche per il prossimo episodio, sperando che molti misteri siano chiariti: tra tutti, io ancora non ho capito chi sia Snoke, come sia finito lì, e la sua morte veloce mi ha proprio insoddisfatto. Penso che però sia meglio puntare su storie che spieghino punti ancora oscuri della trama, come è stato appunto per Rogue One. Meglio qualche approfondimento di vicende e personaggi che l’ennesimo film celebrativo dei fasti del passato.

Hai detto Canto di Natale?

Non penso che ci sia un solo essere umano sul pianeta che non abbia mai sentito parlare del Canto di Natale di Dickens. Declinato in un milione di versioni diverse, ha un potere davvero speciale: non annoia mai, e anche se la storia ormai la conosciamo a memoria, guardarlo è sempre un piacere, una tradizione da portare avanti. E ben vengano tutti i nuovi adattamenti!

Il buon Dickens pubblicò il suo racconto nel 1843, mantenendosi fedele alla sua tradizionale critica sociale e al suo porre in evidenza le condizioni dei più poveri: il protagonista, Ebenezer Scrooge, è un ricco e avaro finanziere londinese, che durante la notte di Natale riceve la visita di tre spiriti, che lo ammoniranno sulle sue azioni passate e presenti, tanto da sconvolgergli l’esistenza e farlo cambiare in meglio, sciogliendo il suo cuore di ghiaccio e riportandolo al calore della vita e degli affetti.

Vergognosa confessione: non ho mai letto il racconto originale, soprattutto perché già paga e avvezza alla storia grazie alla visione compulsiva del Canto di Natale di Topolino, credo tra le videocassette più consumate in casa mia. L’adattamento Disney è secondo me tra i migliori, con i personaggi modellati esattamente su quelli classici: sarà un caso che il nome originale di zio Paperone è proprio Scrooge? Il suo creatore, Carl Barks, gli ha dato vita nel 1947 ispirandosi dichiaratamente all’avaro protagonista dickensiano, con poche differenze: lo Scrooge disneyano non ha mai una vera epifania, che gli cambia permanentemente la vita, semplicemente dietro la faccia di severo affarista nasconde un cuore di panna.

Altro adattamento cinematografico che ho apprezzato è A Christmas Carol, datato 2009, in cui Jim Carrey, grazie alla tecnica della motion capture, interpreta il protagonista Scrooge e i tre spiriti del Natale. Questa versione riprende in modo davvero fedele la tradizione letteraria, e si percepiscono molto di più atmosfere gotiche e a tratti inquietanti, che sottolineano con forza la transizione di Scrooge dal buio del passato alla luce della festa (e del suo futuro!). E’ uscito da poco, infine, Dickens – L’uomo che inventò il Natale, film biografico sullo scrittore inglese che lo vede impegnato proprio nella stesura della sua opera. Non ho ancora avuto occasione di vederlo, ma leggendo qua e là mi sembra ovvio che sia un’ennesima versione del Canto di Natale, con tanto di spiriti e personaggi letterari, che si fondono con i reali protagonisti della vicenda.

Nonostante le sue caratteristiche di storia già sentita e già vista, a me continua a piacere, e credo che continuerò a vedere la versione Disney ogni vigilia di Natale, anche se ho 23 anni e conosco dialoghi e canzoni a memoria. Mi piace il fatto che si vada a cercare l’uomo più sgangherato di tutti, quello dalla facciata più meschina, e gli si faccia vedere dove sta sbagliando, senza cattiveria, ma solo per ricordargli che si è sempre in tempo per un cambio di strada, specie se radicale, c’è sempre tempo per ripartire dal principio e mettere un po’ più di cuore nella propria vita.

Fino All’Osso: ne avevamo davvero bisogno?

Non appena ho sentito parlare di questo film, vedendo le prime immagini promozionali, ho capito che avrei voluto vederlo. Mi sembrava una vicenda interessante, ovviamente drammatica, ma con qualcosa da insegnare. Dopo avere finalmente visto Fino All’Osso, però, non sono rimasta totalmente convinta.

Il film, disponibile su Netflix, racconta la storia di Ellen, una giovane che soffre di anoressia sin dall’adolescenza, interpretata da Lily Collins: la seguiamo nel suo continuo entrare e uscire da istituti di cura, senza che la sua vita e la sua mentalità cambino realmente, senza una reale guarigione o aumento di peso costante. La protagonista vive a Los Angeles con la nuova compagna del padre e la loro figlia: il padre è solo menzionato, per tutta la durata della pellicola non si vedrà mai. La madre di Ellen, invece, vive in Arizona con la sua migliore amica, con la quale ha tradito il marito anni prima e gestisce un alloggio country in mezzo al deserto. Grazie all’insistenza della matrigna, riesce a entrare in terapia con il dottor Beckham (Keanu Reeves), che le impone il ricovero in una casa, insieme ad altri pazienti affetti da disturbi alimentari. Tra una conoscenza e l’altra Ellen, anche grazie alle regole della casa, decisamente non convenzionali, prende coscienza di se stessa ed è libera di vivere le sue scelte, fino a trovarsi veramente di fronte al bivio tra vita e morte.

Non sono riuscita a dare un giudizio trasparente a questo film: mi incuriosiva per il suo realismo, ma il finale aperto mi ha delusa. Questa vicenda non ha un inizio e una fine, ci troviamo semplicemente davanti a uno spaccato della vita di Ellen, senza conoscere totalmente la sua storia, se non qualche trascorso familiare, senza capire davvero che cosa l’ha portata a farsi del male in questo modo. Diverse volte chi le sta intorno accenna al fatto che alcuni suoi disegni postati in rete siano stati quasi un’ispirazione negativa per altri ragazzi, fino a condurre al suicidio una giovane ammiratrice della protagonista. Tanti piccoli elementi che avrebbero potuto arricchire il film non sono stati minimamente approfonditi, così come le personalità di tutti i pazienti della casa. Il mio personaggio preferito, anche se ahimé solo tratteggiato, è la sorellastra di Ellen, una delle poche persone che da subito esterna le sue preoccupazioni e cerca di parlare senza rancore, aprendo veramente il cuore alla sorella per mostrarle quanto davvero tenga a lei; anche la matrigna, seppur maldestra, dimostra di tenere davvero alla ragazza.

Il film sottolinea la necessità dei pazienti di sentirsi vivi per poter comprendere cosa stanno lasciando andare, quali aspetti della vita si stanno perdendo, e lo fa con la classica scena emozionante di qualunque pellicola statunitense, condita da una buona colonna sonora e ambientazioni raffinate. Un messaggio giusto, senza dubbio: nonostante questo penso che però come film avrebbe potuto trasmettere di più, mettere in ordine i fatti in modo da poter rintracciare un filo rosso in quanto accaduto alla protagonista. Mi ha un po’ delusa, lo ammetto, mi aspettavo qualcosa di più. Invece mi è sembrato solo un altro film qualunque, un lavoro fatto giusto purché se ne parli, senza entrare veramente nelle dinamiche di questa patologia: dopo aver sezionato le motivazioni per cui una ragazza si toglie la vita (con 13 Reasons Why), questo film, benché probabilmente dotato delle migliori intenzioni, non mi è sembrato degno di nota, ma anzi solo un racconto senza senso, senza uno scopo.

La Bella e la Bestia, la magia di sempre con qualcosa in più

Ho aspettato La Bella e La Bestia per tantissimo tempo, e non potevo che fiondarmi al cinema il giorno dell’uscita (mai fatto, per nessun altro film). Temevo che, date le mie alte aspettative, avrei potuto rimanere delusa, invece sono rimasta assolutamente soddisfatta da questa nuova trasposizione cinematografica.

La versione animata Disney, di cui questa nuova pellicola è il fedele live action, è il mio classico preferito: l’ho visto tante volte, conosco le canzoni a memoria, amo profondamente questa storia. Belle è un esempio di coraggio, una ragazza che non è come le altre e che vorrebbe trovare il proprio posto nel mondo, perché quello in cui è nata forse non è fatto per tipe come lei. Bestia è la corazza dura di ognuno di noi, l’outsider, a cui devi andare davvero vicino per scoprire, con sorpresa (ah!), che ha occhi meravigliosi. Ogni piccolo domestico del castello aggiunge una carica di umorismo e ottimismo; Gaston e il villaggio mi sono sembrati molto attuali, in questo periodo di guerra contro il diverso, e pensare che nella realtà c’è davvero qualcuno che brandisce così tanta violenza inizia davvero a spaventarmi.

Due soltanto le note stonate: il doppiaggio, sin dai primi trailer, non mi convinceva molto. Ora che ho visto tutto il film posso dire che mi sbagliavo, e che solo la voce cantata di Belle è davvero inadatta, troppo infantile, troppo mielosa, ci voleva qualcun altro! Anche il principe/Bestia mi ha delusa, decisamente un volto che non si ricorda e che nella versione animata è molto, molto più bello! Personalmente ho trovato anche un po’ forzata la “conversione” di Le Tont, che nel finale passa dalla parte dei buoni, insieme ad altri abitanti del villaggio che ritrovano i loro cari tornati umani. Ho trovato anche poco veritiero l’inserimento di personaggi di colore, cosa poco probabile nella Francia di quel tempo: per i miei gusti è esagerato e inutile questo politically correct a tutti i costi, che a lungo andare può solo sfociare in un’ulteriore discriminazione.

Tutto il film mi ha veramente emozionata ed è stato assolutamente all’altezza di quanto mi aspettavo, ma, oltre alla scena del ballo, che con il canto di Mrs Bric mi dà sempre la pelle d’oca, anche la scena in cui tutti i servitori, a causa della caduta dell’ultimo petalo, si trasformano in oggetti in modo permanente mi ha dato davvero i brividi. L’ho trovata molto commovente e ha portato la mia attenzione anche su personaggi a cui di solito guardo poco. Da promuovere, ovviamente, anche la colonna sonora: le versioni italiane delle canzoni sono leggermente diverse da come le ricordavate nella versione animata, ma sono più aderenti come traduzione all’originale. E poi, anche se all’inizio non mi convinceva, anche se Celine Dion e Peabo Bryson non si battono, devo ammettere che anche Ariana Grande e John Legend mi hanno fatto battere il cuore.

Rogue One ovvero la meraviglia che non ti aspetti: la mia recensione

Credevo che questo film non sarebbe stato niente di particolarmente speciale, che mi avrebbe un po’ delusa come l’episodio VII, tuttavia, da fan di Star Wars, non potevo mancare l’appuntamento al cinema. E invece Rogue One mi è davvero piaciuto, non ricordo l’ultima volta che sono uscita dalla sala così entusiasta!

La pellicola, diretta da Gareth Edwards, è ambientata poco prima degli eventi narrati nell’episodio IV, e racconta le vicende di un gruppo di ribelli che rubano i piani della Morte Nera. Jyn Erso, la protagonista, è la figlia di un ex scienziato al servizio dell’Impero, che ha abbandonato la causa e per questo è costantemente piantonato dagli ufficiali, che dopo diversi tentativi riescono a rapirlo e riportarlo al loro servizio. Jyn cresce accudita dal ribelle estremista Saw Gerrera, e viene in contatto con Cassian Andor, pilota dell’alleanza ribelle. Dopo la diffidenza iniziale, dovuta anche ai traumi del suo passato, tra i due nasce un’intesa che porta la ragazza a rendersi conto del ruolo di suo padre nella costruzione della nuova arma dell’Impero, e che è assolutamente necessario cercare di combattere. Parte così una spedizione diretta sul pianeta archivio dell’Impero, che non avrà risvolti esattamente positivi.

Se dovessi pensare a una parola per descrivere Rogue One, sarebbe sorprendente: la storia, benché ricalchi quelle precedenti, con un protagonista che vive in miseria e poi diventa parte di un disegno più grande di lui/lei, non è scontata. Ho apprezzato davvero le numerose ‘incursioni’ nella vita imperiale, che mostrano al pubblico il rovescio della medaglia del fare parte della potenza che governa la galassia: il padre di Jyn non è affatto contento e convinto di ciò che sta facendo, e infatti tenta l’impossibile per mandare a monte i piani dell’imperatore. Jyn stessa all’inizio non è minimamente schierata con la causa ribelle, e ci vuole, ovviamente, un’esperienza molto intensa per farle cambiare idea.

Da vera fan della saga ho amato tutti i riferimenti agli altri film: il tema musicale riprende quello della storia d’amore tra Anakin e Padme (anche se questa volta non è stato John Williams a scrivere la colonna sonora, ma Michael Giacchino), ritroviamo il governatore Tarkin, abilmente inserito poiché l’attore che lo interpreta è scomparso ed è quindi stato necessario lavorare in digitale per ricostruire il suo viso. Il risultato è un po’ artificioso, ma ben riuscito. L’apparizione di Darth Fener è davvero epocale, con il suo solito tema musicale: mi ha scioccato solo il fatto che sia chiamato Darth Vader, pronunciato in modo orribile, e che il doppiatore non sia lo stesso dei primi film (nonostante nella versione originale sia ancora James Earl Jones a prestargli la voce).

Ma la vera chicca, il particolare che mi ha fatta saltare sulla poltroncina e dimenticare che Jyn e Cassian non si siano dati neanche un bacetto, è stato il finale del film: anche se finisce in tragedia, non ho mai visto una conclusione così emozionante. Rogue One finisce esattamente dove comincia l’episodio IV, quindi vediamo i passeggeri della nave ribelle consegnare alla principessa Leia il dischetto contenente i piani della Morte Nera.. e noi già sappiamo che quel dischetto sarà inserito in R2-D2, che insieme a D3BO finirà proprio tra le mani di Luke Skywalker…