Vi ricordate di Il Miniaturista? E’ stata una delle prime libro-recensioni che ho scritto qui sul blog: un romanzo letto in lingua originale, comprato principalmente perché la copertina mi piaceva tantissimo, e su cui avevo avuto pareri contrastanti. Con La Musa Jessie Burton è tornata nella mia libreria, ancora una volta in lingua inglese: ero stanca di aspettare la sua uscita in italiano, così ho deciso di buttarmi di nuovo con la lettura in originale.
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La Forma dell’Acqua, parola d’ordine delicatezza
Ho seguito la cerimonia di consegna dei premi Oscar solo una volta, per lavoro: non sono una grande appassionata di cinema e di solito le pellicole candidate non mi attirano minimamente. Ma con La Forma dell’Acqua è andata diversamente: ho letto qualcosa qua e là, ho ricevuto qualche consiglio, e quindi, dopo che il film si è portato a casa quattro statuette, ho deciso di sedermi sulle poltroncine del cinema.
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Fotografie e numeri: è Il Suono del Mondo a Memoria
Non sono una grande lettrice di fumetti, preferisco di gran lunga i libri: neanche da piccola mi ha mai turbato l’assenza di figure nei libri, per me era un elemento paratestuale assolutamente indifferente. Per questo motivo neppure le graphic novel, romanzi a fumetti un po’ corposi, hanno mai attirato la mia curiosità. Questo, ovviamente, finché non sono diventati di moda e comparsi ovunque, e soprattutto finché non è arrivato Il Suono del Mondo a Memoria.
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Capolavoro The Post: il mio (ennesimo) inno alla cultura a stelle e strisce
Non ricordo bene quando, ma qualche mese fa, uscendo dal cinema, ho notato la locandina di The Post che pubblicizzava il film in uscita di lì a qualche mese. Non avevo idea di quale fosse la trama, ma mi è bastato leggere il nome di Tom Hanks in cartellone per decidere che sarei andata a vederlo. E incredibilmente, è andata proprio così, e perfino nel giorno della sua uscita! Questo 2018 parte proprio nel modo giusto.
The Post racconta l’ascesa del Washington Post, da giornale locale a testata nazionale e di grande importanza. Il motivo? La scelta di pubblicare pezzi inerenti ai Washington papers, documenti sottratti illegalmente al governo statunitense, che svelano all’opinione pubblica anni di menzogne, in particolare riguardo all’ancora in corso guerra in Vietnam. La proprietaria del quotidiano, Kay Graham, deve districarsi tra le sue potenti amicizie e la tradizione giornalistica familiare, oltre che con il suo direttore, Ben Bradlee, ben deciso a pubblicare le informazioni in suo possesso e a sfidare la pazienza del presidente Nixon.
Immaginate il mio piacere quando, dopo aver scoperto che avrei avuto Tom Hanks come attore protagonista e John Williams come autore della colonna sonora, il film che mi apprestavo a vedere aveva come tema il giornalismo. E’ un filmone? Non proprio, anche se porta sul grande schermo fatti reali, una storia di libertà e di coraggio, di sostanza, qualcosa che, a mio parere, non sarebbe potuto accadere da nessun’altra parte del mondo se non negli Stati Uniti. E’ quello che mi viene in mente quando parlo delle mie esperienze, quel certo non-so-che che ti fa capire che sì, forse è una follia, ma certe azioni sono necessarie. E tutto assume un sapore diverso quando queste azioni non coinvolgono solo te ma anche le persone che ti stanno intorno, l’opinione pubblica, tutti.
Tom Hanks perfetto come sempre (ma io sono di parte), Meryl Streep quasi irriconoscibile in un ruolo così timoroso, così indeciso, lei che siamo sempre abituati a vederla come donna forte e decisa. Mi è piaciuto tanto anche il personaggio del reporter Ben Bagdikian, un giornalista vero, di quelli duri e puri, un po’ stanchi e con la barba lunga ma sempre pronti a lavorare e a buttarsi con un po’ di incoscienza. Rinomino il mio amato John Williams, autore delle musiche, perché le sue composizioni sono state ancora una volta azzeccatissime, e se lo conoscete almeno un po’ ritroverete il suo inconfondibile stile. Alla regia troviamo invece Steven Spielberg: per me la combo sarebbe stata perfetta se a dirigere ci fosse stato Ron Howard, ma pensandoci bene questo non è un film nelle sue corde. Spielberg è un classico, una garanzia di successo quando si devono raccontare storie vere o comunque ispirate a fatti reali (Salvate Il Soldato Ryan è un altro esempio di come il trio Spielberg-Hanks-Williams funzioni benissimo insieme).
E quindi il mio consiglio è: correte al cinema e immergetevi nella Washington del 1971. Dove il New York Times è ancora l’unico e il solo quotidiano d’America, dove i praticanti giornalisti esistono e possono fare qualcosa di utile, dove le ville dei ricchi e potenti si animano di feste lussuose. E dove Nixon si nasconde a urlare ordini stizziti al telefono, giusto in tempo per prepararsi allo scandalo Watergate.
Gli Ultimi Jedi e il declino di Star Wars
Ho fatto passare più di 48 ore, per far depositare bene il film appena visto, per riflettere su tutto l’intreccio e la fotografia e gli effetti speciali e la colonna sonora. Ma purtroppo per Rian Johnson e George Lucas, per me Gli Ultimi Jedi è un no. Speravo in qualcosa meglio dopo l’amaro in bocca di Il Risveglio della Forza, ma questa nuova trilogia targata Star Wars si sta muovendo sempre più nel senso di una fumosa delusione.
La pellicola riparte esattamente dove si è fermato l’episodio VII: Rey ha rintracciato Luke su un’isola sperduta, e dopo una lunga insistenza riesce a sollecitare una sua reazione alla ribellione e a farsi impartire una minima istruzione dei princìpi Jedi. Intanto i ribelli sono messi alle strette dal Primo Ordine, e mentre Poe Dameron si impegna per creare un diversivo, Finn e l’operaia Rose cercano un maestro di codici per disattivare il tracciatore che permette alla flotta nemica di individuare la ribellione anche nell’iperspazio. La battaglia si sposta poi su un vicino pianeta di sale, da cui i ribelli riescono a fuggire solo grazie al tempestivo intervento dell’ologramma di Luke Skywalker. Rey, nel frattempo, ha scoperto di avere un legame telepatico con Kylo Ren, che entrambi sfruttano per cercare di convertire l’altro.
Primo difetto di Gli Ultimi Jedi: non sono neanche riuscita a riassumere in modo chiaro la trama. Per me questo è già sintomo che la storia si stia trasformando in un poutpourri di elementi accostati l’uno all’altro, che a un tratto sono mescolati insieme, sì con un minimo di logica, ma comunque in modo abbastanza macchinoso e difficile da seguire. In questo ottavo episodio della saga si introducono personaggi minori che sono anche ben costruiti, ma di cui non si comprende l’utilità: Rose, ad esempio, la giovane operaia che accompagna Finn in missione. Ancora non mi è chiaro se la rivedremo, quale sia il suo rapporto con gli altri personaggi, se riuscirà a ritagliarsi uno spazio adeguato. Altro punto per me negativo, da profana del cinema quale sono, è la sezione effetti speciali: tutto troppo costruito, e la scena peggiore è senza dubbio quella in cui Leia riprende conoscenza nello spazio e usa la Forza per tornare a bordo dell’astronave.
Insomma, se Rogue One mi aveva conquistata nel profondo, Gli Ultimi Jedi è stato abbastanza deludente. Ancora una volta mi è sembrato l’esercizio di stile mal riuscito di un vecchio fan della saga, che ha avuto l’opportunità di giocare con un prodotto eccellente, non dimostrandosi però all’altezza della trilogia originale. Chiari segni di questo sono, per me, gli ennesimi richiami proprio agli episodi IV e V: l’apice si tocca con l’incontro tra Luke e R2-D2, che gli ripropone il messaggio d’aiuto per Obi-Wan Kenobi registrato da Leia più di trent’anni prima. Qual è lo scopo? Sottolineare il legame tra i film? Veramente impossibile notarlo, dato che si tratta di una saga. Ovviamente sarò al cinema anche per il prossimo episodio, sperando che molti misteri siano chiariti: tra tutti, io ancora non ho capito chi sia Snoke, come sia finito lì, e la sua morte veloce mi ha proprio insoddisfatto. Penso che però sia meglio puntare su storie che spieghino punti ancora oscuri della trama, come è stato appunto per Rogue One. Meglio qualche approfondimento di vicende e personaggi che l’ennesimo film celebrativo dei fasti del passato.