Un viaggio lungo un anno: la mia recensione di Calendar Girl

Di sicuro avrete notato in libreria le copertine accattivanti di questo libro: quattro volumi in tutto, ciascuno dedicato a tre mesi dell’anno, per un lungo viaggio tra gli Stati Uniti e la vita della protagonista, Mia. Calendar Girl è uno dei libri che più ha fatto parlare di sé nel 2016, un po’ proprio per l’attrattiva dell’oggetto libro, un po’ per il suo essere un caso editoriale trash. Nonostante questo l’ho letto con piacere, anche se di solito non leggo molti romanzi rosa. Questo, però, ha degli elementi che mi hanno piacevolmente sorpreso!

Mia Saunders è una giovane di Las Vegas, che si barcamena tra lavori saltuari per assicurare un’esistenza dignitosa a sé, alla sorella più giovane e al padre, distrutto da quando la moglie li ha abbandonati. Quando il padre, però, a causa del suo alcolismo, contrae un ingente debito con il violento ex fidanzato di Mia, finisce in fin di vita, lasciando comunque alle proprie figlie il debito, da ripagare sotto minaccia. Mia così si mette in contatto con la zia, che gestisce un’agenzia di escort (negli Stati Uniti escort non ha lo stesso significato italiano di prostituta, si tratta piuttosto di accompagnatrice, che può scegliere se concedersi anche dal punto di vista fisico), mettendosi sotto contratto per un anno: ogni mese guadagnerà abbastanza denaro per ripagare il debito, nell’attesa che il padre esca dal coma. Il problema, però, è che già a partire da gennaio a Mia è chiaro che ogni mese incontrerà uomini bellissimi, ricchi e dalle vite favolose. A gennaio è così molto facile cedere alle attenzioni di Wes, di cui finirà per innamorarsi. Purtroppo, però, il lavoro la chiama, e il suo viaggio di 12 mesi non si fermerà alla sola California…

Libro dopo libro sono arrivata a dicembre, ho seguito Mia durante la sua avventura: un anno impegnativo in cui ha viaggiato da un capo all’altro degli Stati Uniti, ha stretto nuove amicizie e ha scoperto la verità sulla sua famiglia. E’ un romanzo rosa, poco impegnativo da leggere ma che comunque mi è piaciuto molto. Tralasciando le numerose ed esplicite scene hot, perché ovviamente davanti a tanti bei ragazzi non si può rimanere di pietra, ho apprezzato il fatto che, con il procedere dei mesi, sia aumentata l’analisi dei personaggi, dei loro sentimenti, non limitandosi a una caratterizzazione banale e sommaria. Inoltre, una volta tanto, la protagonista non è una babbea che non sa di essere bella, ma è ben consapevole del proprio aspetto e capace di impegnarsi nella vita, senza tanti piagnistei.

Ciò che non mi è piaciuto invece è stato invece il secondo mese dell’anno, probabilmente per l’uomo per cui Mia si trova a lavorare, un artista francese che la seduce e a cui lei si abbandona, nonostante provi già sentimenti per Wes. Neanche la scelta di dipingere la madre come una malata mentale, e non come una donna che abbandona consapevolmente i propri figli perché disinteressata, mi ha convinto: mi è sembrata davvero una conclusione veloce e banale, troppo irreale rispetto alle altre vicende raccontate, che invece mi sono piaciute proprio perché reali, al contrario di quanto spesso avviene in altri romanzi simili, troppo finti.

Quello che mi è piaciuto di più, oltre alla breve appendice finale che chiude le storie di tutti i personaggi comparsi, è la costante speranza che pervade tutti i romanzi, una speranza all’inizio dettata dalla sola voglia di sopravvivere di Mia, messa a dura prova dalla vita e dalle sue relazioni con gli altri. Quando poi però la nostra bella protagonista si innamora, e si rende conto del suo valore umano nonostante il suo passato turbolento, tutto cambia. Mia continua a impegnarsi, facendo di tutto per garantire una vita serena a coloro che ama, che in cambio la ripagano trasmettendole fiducia in se stessa. Il tatuaggio che porta sul piede, “Trust the journey“, è un piccolo inno a non perdere mai la forza di guardare avanti, anche nelle difficoltà, a credere in se stessi e a non farsi schiacciare dalle difficoltà della vita. E’ per questo che mi piacciono anche i romanzi un po’ più semplici, come questi: riportano in luce i valori basilari di ciascuno, sottolineando la bellezza della vita.

Animali Fantastici e Dove Trovarli: un grande, magico ritorno

Non mi ero resa conto di guardare un nuovo film della saga di Harry Potter finché sul grande schermo del cinema non è comparso il logo della Warner Bros, accompagnato dalla colonna sonora (le musiche originali sono di John Williams, che adoro) che ben conosciamo e che, personalmente, mi ha davvero emozionata. A cinque anni dall’uscita di Harry Potter e i Doni della Morte – Parte 2, il mondo magico di zia Rowling torna a rivivere…ed è stato tutto incantevolmente perfetto!

Jacob, Newt e un asticello, molto più tenero di come lo immaginassi
Jacob, Newt e un asticello, molto più docile di come lo immaginassi

Animali Fantastici e Dove Trovarli è il primo di una serie di film (si è parlato di cinque pellicole totali) tratto dall’omonimo libro di Newt Scamander, che gli studenti di Hogwarts usano per le loro lezioni. Nella realtà il libro è stato davvero pubblicato da J. K. Rowling, insieme a Il Quidditch attraverso i Secoli e Le Fiabe di Beda il Bardo, completando così le pubblicazioni dei libri maggiormente citati nella saga. Il grande pubblico però non conosceva totalmente la storia di Newt, ricercatore naturalista appassionato di creature magiche, che sbarca a New York nei primi del Novecento insieme alla sua magica valigia. Qui, a causa di un equivoco, stringe amicizia con il NoMag (termine statunitense per babbano) Jacob Kowalski, con l’ex auror Tina Goldstein e con la sorella Queenie. Cercando di recuperare le sue creature disperse in città, viene a conoscenza dei problemi che il MACUSA, il Ministero della Magia, ha con un Obscurus, entità negativa che semina il panico per la grande mela. A questo si aggiungono anche le notizie sulla fuga dall’Europa di Gellert Grindelwald, potente mago oscuro che è ricercato.

Io sono uscita dal cinema davvero deliziata: tutto era esattamente come lo ricordavo, è stato proprio come rileggere dopo tanto tempo i romanzi di Harry Potter! Gli incantesimi pronunciati sono i classici che tutti ricordiamo, e anche alcune delle creature possedute da Newt sono state abbondantemente citate nella saga originale. Alla regia troviamo di nuovo David Yates, che si era occupato di Harry Potter già dall’Ordine della Fenice. Per i più attenti c’è anche qualche citazione davvero brillante: anzitutto Percival Graves nomina Hogwarts e il professor Silente durante il suo interrogatorio a Newt. E poi, soprattutto, quando si spiega il mistero degli Obscurus non si può non pensare ad Ariana Silente e al modo in cui la ragazzina uccise tragicamente se stessa e la madre, liberando un potere troppo grande che aveva tentato di nascondere: in effetti, la situazione di Credence è molto simile.

Il tenero snaso alle prese con la raccolta di oggetti luccicanti
Il tenero snaso alle prese con la raccolta di oggetti luccicanti

Ho trovato adorabile la storia d’amore tra Jacob e Queenie, che si scoprono simili pur appartenendo a mondi molto diversi, e che sembrano davvero destinati a stare insieme, nonostante l’incantesimo di memoria subito dal signor Kowalski. Solo due i punti dolenti, per me: gli effetti speciali non mi sono parsi molto curati, anzi li ho visti davvero troppo digitali e finti. E poi, purtroppo, non riesco proprio a farmi piacere Eddie Redmayne: bravo, per carità, ma non ho sopportato il fatto che distogliesse sempre lo sguardo dalla telecamera o da qualunque interlocutore avesse davanti. Scamander è descritto come un magizoologo introverso, ma credo che caratterizzarlo in questo modo sia eccessivo e che sia piuttosto un vezzo personale di chi lo interpreta.

Una storia di coraggio? La mia recensione di La sarta di Dachau

Questo libro è rimasto per qualche settimana sul mio comodino, ne ho lette solo dieci pagine senza che riuscisse a catturarmi. E’ finita che l’ho letto d’un fiato in un intero giorno, bramosa di conoscere la fine della storia. Premessa: La sarta di Dachau non mi è piaciuto!

Una storia di coraggio? La mia recensione di La sarta di Dachau

Ada Vaughan sta per compiere diciotto anni: è una giovane londinese che porta con sé il sogno di diventare sarta. Ha talento, e inizia ad avvicinarsi a questo mondo lavorando in una boutique della città, desiderando però un proprio atelier. Un giorno, all’uscita dal lavoro, incontra un affascinante uomo, Stanislaus, che le rivela di essere un conte, e con cui intreccia una relazione ammantata di bugie, poiché la giovane si vergogna delle sue umili origini. Tutto cambia quando il conte propone ad Ada un viaggio a Parigi: non ci sarebbe nulla di male, se solo il romanzo non fosse ambientato nel 1939, e la guerra sia ormai alle porte. Ma Ada, incurante degli avvertimenti di chi le è vicino, parte per la Francia senza neppure comunicarlo ai suoi genitori. Purtroppo per lei, la sua storia con Stanislaus subirà una brusca virata verso il basso, e la coppia si ritroverà bloccata sul continente mentre la Germania comincia il suo assedio. Passando per il Belgio, Ada è catturata dai tedeschi che la deporteranno a Dachau, dove sarà solo il suo talento con ago e filo a tenerla in vita. Una volta finito il conflitto e rientrata in patria, la strada sarà tutt’altro che positiva, fino al tragico epilogo che seguirà la vendetta di Ada sull’uomo che le ha rovinato la vita.

Nonostante sia ben scritto, nonostante la scelta originale del non dividere il volume in capitoli, ma in tre parti che descrivono i diversi momenti della vita della giovane protagonista, nonostante l’autrice Mary Chamberlain sia insegnante di storia a Oxford, questo libro non mi ha convinta. O meglio: la protagonista non mi ha convinta. Io mi rifiuto di credere che al mondo siano potute esistere ragazze così stupide, così ingenue: Ada non fa che svilire la categoria femminile durante la guerra, dimostrandosi totalmente priva di giudizio e abitante di un regno fatato ben distante dalla realtà, perché nessun essere umano alfabetizzato si sarebbe mai imbarcato per Parigi nell’estate del 1939, non quando conoscenti e parenti ti mettono in guardia sul fatto che manchi solo una dichiarazione formale per dare il via al conflitto, non quando i giornali non parlano d’altro, non quando, soprattutto, non sai assolutamente nulla dell’uomo che è al tuo fianco e che per giunta non ha nemmeno un passaporto. Come può una professoressa di storia dipingere un personaggio simile?

Altro punto davvero negativo di questo romanzo è l’etichetta che gli è stata appiccicata addosso, quello di una storia che racconta come un grande sogno possa salvarti la vita. Ma non è affatto così! Se Ada non fosse stata così avventata e credulona, così superba dal volere una sartoria tutta sua, forse non avrebbe passato anni della sua vita ad accecarsi nella casa del comandante del campo di Dachau, cucendo per ore abiti su commissione, ignara di tutto ciò che accadeva nel mondo, e vivendo prigioniera alla stregua del peggiore dei servi. Non è stato il suo sogno a salvarla, è stata la sua abilità nel cucito che le ha permesso di non finire in un forno crematorio, tutto qui. Questo libro ha completamente svilito l’idea di sogno, trasformandolo in un comportamento pazzo che conduce alla morte, e non nella speranza e nel desiderio di miglioramento che in realtà è. Ed io non posso dare alcuna valutazione positiva ad un autrice che ridicolizza così l’essenza dell’uomo.

The 100, dalle stelle alla Terra

Nonostante vada in onda sul piccolo schermo dal 2014, The 100 (si pronuncerebbe The Hundred, ma DeCento è ormai è entrato nel lessico comune) non è una serie conosciutissima in Italia: eppure ha tutte le caratteristiche che la renderebbero un vero blockbuster della tv! Tragedie, storie d’amori, duelli, misteri, antagonisti degni di questo nome. Non so che cosa la mantenga tuttora in disparte: io per prima, comunque, non la seguo dagli albori, ma sono stata spinta dalla curiosità nella mia lunga estate post laurea. Ed ora non posso che consigliarla!

Il cast della prima stagione
Il cast della prima stagione

L’anno in cui sono ambientate le vicende non è esplicito, si sa solo che il pianeta in cui viviamo è stato sconvolto da una catastrofe nucleare, e i pochi superstiti sono emigrati nello spazio, in una stazione orbitante. Purtroppo per loro, però, le scorte d’aria stanno finendo: il cancelliere Jaha (Isaiah Washington, ossia il caro vecchio dottor Burke di Grey’s Anatomy) decide quindi di inviare sulla Terra cento giovani criminali, un po’ per risparmiare e un po’ per verificare se il vecchio pianeta sia ancora abitabile. Sorpresa sorpresa, è proprio così: facciamo quindi la conoscenza di Clarke Griffin, indiscussa capa della banda insieme a Bellamy Blake, di sua sorella Octavia, dell’idealista Finn, e tanti altri ragazzi, tutti uniti dal fatto di aver compiuto atti illegali mentre erano sull’Arca.

Se nella prima stagione gli episodi si concentrano sull’esplorazione e la difficile convivenza con i terrestri prima e l’arrivo dell’Arca sulla Terra poi, la seconda stagione si fa molto più complicata con la scoperta di Mount Weather, un bunker in cui vive un non troppo placido popolo. Attualmente la serie è ferma alla terza stagione, in cui nasce una nuova faida tra terrestri e popolo del cielo. Niente paura però: se vi ho incuriosito, la quarta stagione dovrebbe iniziare durante il prossimo gennaio.

Jasper, uno dei pochi personaggi che detesto
Jasper, uno dei pochi personaggi che detesto

Perché The 100 mi ha colpito? La storia ricalca il modello delle solite serie distopiche, aggiungendo però qualche elemento dei film di avventura: il contatto con una civiltà semisconosciuta e il conseguente difficile rapporto che si ha con essa. Durante la seconda stagione, la mia preferita, vengono a galla tutte le problematiche dei diversi personaggi (perché in realtà questo è un telefilm corale, non abbiamo un unico protagonista) e le sfaccettature delle personalità più complesse. Siamo quindi portati a capire e, con il tempo, ad affezionarci anche a chi all’inizio sembrava un vero cane sciolto: per quasi tutti in questa serie c’è un momento di valore o di redenzione. Proprio per questo infatti non riesco a trovare un unico personaggio preferito, ognuna delle storie raccontate mi trasmette qualcosa. A parte quella del lagnoso Jasper e della superba Lexa, gli unici due personaggi che mi provocano una sincera irritazione.

A mio parere The 100 è una serie completa, che permette di uscire dai soliti schemi della distopia: se devo trovare dei difetti, a volte la produzione tratta frettolosamente alcune questioni, a discapito di altre, e non soddisfa in tutto il pubblico riguardo le storie dei vari personaggi. Ma a questo ci ha già abituati Shonda Rhimes!

Colouring book, è solo una storia per bambini?

Spopolano sugli scaffali delle librerie, compaiono numerosi nelle fotografie sul web: sono i colouring book, libri da colorare, e no, non sono un prodotto per bambini. Proposti ormai da diverse case editrici, hanno raggiunto il favore del pubblico, specie quello femminile, nascendo quasi come costola di un altro mondo notevolmente in crescita, quello dello scrapbooking. Inutile dire che io sono un’appassionata di entrambi!

Colouring book, è solo una storia per bambini?

I primi a diventare famosi sono stati i meravigliosi libretti disegnati a china dall’autrice Johanna Basford, tutti editi in Italia da Gallucci (è da poco arrivato anche l’ultimo, quello dedicato alla giungla): intrichi di boschi, fiori, animaletti e un’atmosfera incantata che lo rendono un regalo perfetto per gli amanti della natura. Poi ne sono arrivati tanti altri, ma i migliori oltre a questi per me restano quelli della casa editrice L’Ippocampo. Grandi, dalla copertina cartonata, ogni libro ha un tema specifico e la collana è davvero ricchissima, ce n’è per tutti i gusti!

Quel che rende speciali questi libri è che, partendo da un’attività riservata generalmente ai bambini, si rivolgono agli adulti, in modo da trasportarli in un mondo privo di ansie e un po’ più colorato. Tra citazioni e figure esotiche, nelle pagine prende vita un’esistenza alternativa, fondata sulla calma e sul colore. Colorare è un gioco da ‘piccoli’? Assolutamente no! Anzi, per i ‘grandi’ questi prodotti ormai sono diventati una moda, oltre che un valido strumento per scaricare la tensione.

Colouring book, è solo una storia per bambini?

Io ne ho comprati due. Il primo è stato a tema celtico: non si direbbe, ma le tradizioni gaeliche mi affascinano molto e questo volume è davvero ben fatto! Il secondo invece è il mio preferito: ho una passione per il nord Europa che è scoppiata da poco, e questo libro a tema scandinavo mi riporta nella bellissima Helsinki che ho visitato lo scorso anno. Entrambi si prestano a essere interpretati come meglio credo, seguendo la tradizione oppure osando con colori più eccentrici. Anche i libri della Basford mi attirano molto, ma mi sembrano molto più preziosi e quindi li uso molto poco (anche perché in realtà appartengono a mia mamma). Se state cercando un dono particolare, in cui si esprima la vostra attenzione per i gusti della persona, secondo me questo sarebbe perfetto: è davvero un’idea originale e utile. Se avessi il tempo mi piacerebbe colorarne una pagina a settimana; anche avendone colorate poche pagine, però, posso assicurarvi che l’effetto rilassante si sente, eccome! E poi volete mettere la soddisfazione di avere ‘dipinto’ un disegno in modo preciso?